Si stanno avviando alla conclusione i lavori di restauro dell’organo dell’Istituto dei Ciechi, il cui progetto ha preso avvio quasi nove anni fa. È stato un lavoro lungo, complesso e delicato, condotto dalla ditta Giacobazzi che, in accordo con la Soprintendenza ai beni artistici, ha risolto i problemi strutturali che lo strumento si portava dietro fin dalla nascita, rispettandone però l’impianto originario e il valore storico.
Realizzato da Carlo Vegezzi-Bossi nel 1901, l’organo dell’Istituto è stato oggetto di interventi successivi nel 1919 e nel 1951, che non riuscirono però a risolverne definitivamente i problemi strutturali.
«A un secolo di distanza, possiamo dire di aver portato a termine il progetto di Balbiani del ’19. Alle quattromila canne dell’organo, abbiamo aggiunto l’arpa (un registro a percussione paragonabile a un vibrafono nda) che l’Istituto non volle mai mettere per gli elevati costi di importazione da oltreoceano» spiega l’organaro Alessandro Giacobazzi. «Quest’organo ha una storia che è una poesia. Leggendo le carte conservate in Archivio, apprendiamo dei contrasti fra l’organaro Carlo Vegezzi-Bossi e l’Istituto ai primi del Novecento, le tante inaugurazioni e (tante) successive rotture, le esecuzioni entrate nella storia, come quella di Marco Enrico Bossi nel 1919 o di Gianfranco Spinelli, che per la prima volta in Italia ha eseguito la trascrizione per organo dell’Arte della fuga di Bach».
Nelle ultime settimane i collaudi dell’organo si sono intensificati e sono stati effettuati anche da interpreti di primo piano nel panorama musicale italiano: Lorenzo Bonoldi, organista del teatro alla Scala ed Emanuele Vianelli organista del Duomo di Milano. Proprio al maestro Vianelli, incontrato durante una di queste prove, abbiamo chiesto una valutazione “a caldo” sullo strumento e sul restauro appena terminato.
Intervista al maestro Emanuele Vianelli, organista del Duomo di Milano
testi e foto di Marco Rolando





