Paralimpiadi: non spegnete i riflettori su di noi

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Monica Contrafatto, Ambra Sabatini, Martina Caironi gioiscono della vittoria avvolte dalla bandiera tricolore. A milioni di italiani è rimasta impressa negli occhi e nel cuore l’immagine delle tre atlete paralimpiche avvolte nella bandiera tricolore che esultano sorridenti per la vittoria nei 100 metri femminili. Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contrafatto, rispettivamente oro, argento e bronzo nella finale dei cento (categoria t63), ci hanno regalato uno dei momenti più belli e significativi di questa straordinaria edizione dei giochi Paralimpici di Tokyo, durante la quale i 113 atleti della delegazione italiana hanno fatto registrare un nuovo record di medaglie vinte: 69 in tutto, di cui 14 ori, 29 argenti e 26 bronzi.

Ma il vero primato di questa edizione dei Giochi è stata probabilmente l’attenzione mediatica che è stata rivolta a un evento di questo tipo. Mai una Paralimpiade ha avuto una tale eco e un tale seguito nel nostro Paese. Durante i 12 giorni di competizioni, quotidiani, telegiornali, programmi televisivi hanno seguito e raccontato le prodezze degli atleti olimpici, facendo emergere rispetto al passato uno sforzo per parlare con linguaggio appropriato. Ad esempio, l’attenzione è stata posta sulle persone e non esclusivamente sulla loro disabilità, così come il focus delle cronache ha messo l’accento sulla performance sportiva piuttosto che sulla biografia degli atleti. Inoltre, a occuparsi delle Paralimpiadi sono stati non solo i canali tematici della rai e la stampa specializzata, ma i media generalisti. Come il TG1, il telegiornale più seguito in Italia, che nel giorno della storica tripletta azzurra ha dedicato i due servizi di apertura all’impresa delle nostre atlete. Impensabile fino a pochi anni fa.

Il grande pubblico ha quindi imparato a conoscere e ad amare i volti della schermitrice Bebe Vio, della corritrice Ambra Sabatini, del campione di lancio del peso non vedente Oney Tapya tanto per fare alcuni nomi.

«Ogni Paralimpiade ha rappresentato un passo in avanti nella promozione di una diversa percezione della disabilità» ha commentato Pancalli presidente del Comitato Italiano Paralimpico, ed è proprio grazie a questa sempre migliore copertura mediatica che può nascere una nuova consapevolezza «stimolando preziose riflessioni sia sul ruolo sociale dello sport che sul concetto di abilità».

Ha perfettamente ragione: il movimento paralimpico sta portando avanti una rivoluzione silenziosa che attraverso lo sport favorisce il diffondersi di una diversa percezione della disabilità. Inoltre, il clamore suscitato dai successi dei nostri atleti paralimpici, spingerà molti ragazzi con disabilità verso lo sport e verso l’autonomia. L’auspicio del presidente del Cip è quello di intercettare fare breccia tra il milione di ragazzi con disabilità che si calcola ci siano in Italia, per stimolarli alla pratica sportiva.

Vien da chiedersi se, una volta spenti i riflettori sui campi di gara, la stessa attenzione verrà riservata alle sfide altrettanto difficili che si trovano ad affrontare in silenzio milioni di persone con disabilità nel nostro Paese. Nella ricerca di un lavoro, per esempio, dove un radicato pregiudizio che considera la disabilità come improduttiva impedisce di valutare obiettivamente le competenze e le capacità del candidato. Quanti media racconteranno le difficoltà che una persona disabile incontra solo per arrivare a fare un colloquio di lavoro? Si dedicherà la stessa attenzione ai 300 mila studenti disabili che frequentano le scuole italiane, ai rischi di esclusione posti dalla didattica a distanza o alla mancanza di insegnanti di sostegno?

Non vorremmo aspettare i tre anni che ci separano dalle prossime Paralimpiadi di Parigi affinché venga data la giusta attenzione alle sfide che devono affrontare le persone disabili, sui campi di atletica ma soprattutto al di fuori di essi.

Marco Rolando

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