Giovanni Marchesi, il Braille della meccanica

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Facile farsi venire un'idea geniale quando qualcun altro l'ha già partorita: basta arrivare per primi all'ufficio brevetti e rivendicare la paternità della scoperta. Lo fece Bell con il primo telefono, inventato in realtà dal fiorentino Meucci, e lo fece anche un tipografo americano di nome Christopher Sholes, uno dei padri della macchina da scrivere. La sua storia in realtà è un po' diversa, ma anche in questo caso il merito dell'invenzione non spetta a lui, depositario del brevetto, ma a un italiano: Giovanni Battista Marchesi, nato a Lodi nel 1806.

«Anche a lui, come a tanti altri, mancò il senso industriale per valorizzare la propria invenzione» si legge nella motivazione con cui il Comune di Lodi ha intitolato a Marchesi una via del quartiere San Bernardo, sottraendolo almeno in parte da un oblio altrimenti assoluto. Oggi quasi nessun lodigiano ricorda infatti la sua figura, motivo in più per riportare in luce le rare notizie sepolte negli archivi, come sta facendo da qualche mese Emilio Tagliabue, pronipote del Marchesi per via materna, alle prese con un paziente lavoro di ricerca che l'ha condotto fino a Milano, al museo Louis Braille dell'Istituto dei ciechi, fondato nel 1840 per dare asilo e istruzione ai non vedenti meno abbienti.

Il prototipo di Giovanni Marchesi esposto al Museo Louis Braille dell'Istituto dei Ciechi di Milano.Il prototipo di Giovanni Marchesi esposto al Museo Louis Braille dell'Istituto dei Ciechi di Milano.Il prototipo di Giovanni Marchesi esposto al Museo Louis Braille dell'Istituto dei Ciechi di Milano.

Accanto agli strumenti di educazione alla scrittura adottati nei primi decenni d'attività dell'Istituto, nato più o meno negli stessi in cui in Francia si sperimentava il nuovo alfabeto tattile creato da Braille, le sale del museo ospitano anche una macchina da scrivere che risale al 1848, in grado di stampare caratteri alfabetici tanto in rilievo, quanto in inchiostro: proprio quella inventata dal lodigiano Giovanni Marchesi su invito del direttore Michele Barozzi, deciso a dotare il suo istituto di strumenti didattici all'avanguardia. Alla realizzazione del prototipo si interessò anche la nobile famiglia dei Provasi, originaria di Lodi, che come si legge in un articolo pubblicato dall'Archivio storico lodigiano nel 1927, richiese al Marchesi «di combinare qualche meccanismo che fosse d'utilità a una figlia cieca, allora ricoverata all'Istituto di Milano». Detto, fatto: dopo qualche tentativo, «di tutto suo pensiero», in poco tempo mise insieme l'«ingegnoso congegno». Era la prima macchina da scrivere con disco porta-punzoni girevole, salutata all'epoca come un'invenzione decisiva nella storia della tiflologia (la scienza applicata all'educazione dei non vedenti).

Nel 1850 l'imperatore Francesco Giuseppe accordò al Marchesi un brevetto esclusivo di durata quinquennale, che gli permise di partecipare l'anno successivo all'Exhibition internazionale di Londra, dove con una versione aggiornata della sua «macchinetta» (definizione dell'artefice) vinse la Grande medaglia d'onore in bronzo e un diploma firmato dal presidente della Royal Commission, conservato oggi nell'Archivio storico comunale di Lodi. Poi, allo scadere del brevetto, Marchesi non riuscì a mantenere la paternità dell'invenzione e fino al 1870, anno della sua morte, fece quello che aveva sempre fatto: l'uomo di teatro. Le cronache dell'epoca, riprese da un articolo pubblicato nel 1854 sulle pagine de II nuovo cittadino di Genova, descrivono il giovane Giovanni Battista come un ragazzo «dotato di un intelligenza leonardesca», un artista abile nelle arti meccaniche come nel disegno, autore di alcune statue in legno di pregevole fattura (fra cui un San Lorenzo per la parrocchia di Dovera) e degli altorilievi che decoravano i palchetti del Teatro sociale di Lodi, la sua seconda casa.

Membro della neonata Società filodrammatica, attore applaudito e ricercato suonatore di flauto, Marchesi metterà a frutto il suo talento poliedrico anche a sipario chiuso, come macchinista e addetto alle luci, in tempi in cui l'elettricità non era ancora arrivata. Dietro le quinte del Teatro Sociale darà vita a «speciali effetti di luce, scene che cambiano automaticamente e altre cose per quell'epoca meravigliose», tanto che la sua fama passerà presto la cerchia del Lodigiano per arrivare a Milano e nelle grandi città dell'Emilia e della Lombardia.
L'invenzione della macchina da scrivere contribuirà ad allargare ulteriormente il cerchio, fino all'Expo di Londra e al trionfo di Parigi, che riconoscendo la genialità della sua invenzione lo nominerà, con uno straordinario riconoscimento, socio onorario dell'Istituto francese delle scienze e delle lettere.

di Silvia Canevara
da Il Cittadino

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