180 anni fa nasceva l'Istituto dei Ciechi di Milano [parte seconda]

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In occasione dei 180 anni dalla fondazione dell'Istituto dei Ciechi, ripercorriamo la storia del nostro Ente nel periodo che va dai primi del Novecento fino al Secondo Dopoguerra

Con decreto legge del 31 dicembre 1923 l’istruzione dei ciechi era stata resa obbligatoria e parificata rispetto a quella dei vedenti. Tuttavia l’istruzione dei non vedenti aveva tempi necessariamente più lunghi dell’obbligo scolastico e di conseguenza l’Istituto di Milano aveva previsto di far seguire un’istruzione professionale che rendesse autosufficienti gli allievi nei limiti delle loro capacità individuali.

Iniziative per l'educazione dei ciechi ai primi del Novecento

Allieve dell'Istituto durante la lezione dei lavori domestici, 1930 circa.I programmi e i sistemi d’istruzione dell’Istituto vennero, quindi, modificati e aggiornati nel corso dei decenni, ma costanti rimasero l’attenzione e la cura per tutti gli aspetti della crescita e dell’educazione degli allievi ciechi da parte dei responsabili dell’Istituto; tale impegno può essere simbolicamente riassunto nella profondità dell’azione profusa dal rettore Luigi Vitali ed espressa nell’opuscolo La vita dei ciechi del 1891, nel quale l’autore affrontava tutti i fenomeni psicologici legati alla mancanza della vista e al difficile percorso che i non vedenti dovevano affrontare per raggiungere una piena autonomia.

Nel 1913 venne fondata, sotto l’egida dell’Istituto, la Società lombarda pro ciechi con lo specifico programma di “organizzare il lavoro e il collocamento, combattere l’accattonaggio, promuovere la previdenza, diffondere la coltura, propugnare il riconoscimento dei diritti giuridici e attuare quegli altri provvedimenti suggeriti dai bisogni della classe ciechi”. La Società pro ciechi non disponeva di un patrimonio vero e proprio; le poche risorse provenivano da contributi assai modesti dei soci, accresciuti da oblazioni di enti bancari.

Oltre a numerose assistenze con le quali mosse incontro ai casi più urgenti di malattia, di bisogno, di miseria (specialmente nel periodo della guerra), la Pro ciechi si acquistò una vera benemerenza con la Biblioteca circolante Braille per la coltura e il sollievo spirituale. Accanto alla raccolta di libri letterari si era formato un discreto archivio di musica a servizio di coloro specialmente che avevano nella musica il conforto migliore e la esercitavano come professione remunerativa. La sezione lettura possedeva, nel 1930, 1700 volumi e la sezione musicale 1200.

Il periodo delle due guerre

Gli anni della Prima guerra mondiale rappresentarono per l’Istituto un periodo molto difficile: appena aperte le ostilità la Croce Rossa aveva individuato nell’edificio di via Vivaio una sede particolarmente adatta ad uso di ospedale, d’altra parte non si potevano interrompere le funzioni educative e assistenziali dell’Istituto, che decise di concedere alla Croce Rossa l’installazione di un ospedale di ben duecento letti, spostando accessi, servizi, dormitori e trasformando sale e corridoi, in modo da permettere la coesistenza tra degenti e allievi. Questa sezione della Croce Rossa funzionò per molti mesi, ospitando in particolare soldati sofferenti di congelamento ai piedi. In questi anni l’Istituto assolse, parallelamente, il grave compito del reinserimento di persone cieche vittime della guerra assolto egregiamente dal nuovo rettore monsignore Pietro Stoppani.

Frontespizio di una pagella del periodo Fascista, 1930 circaNel primo dopoguerra, “la quarta istituzione fiorita ancora dall’albero centrale" fu la Casa Famiglia per cieche adulte non vedenti inaugurata nel 1925 da Stoppani. L’inserimento nel mondo del lavoro era in quegli anni più difficile per le donne che per gli uomini, poiché per esse l’unico sbocco professionale era quello di insegnanti di canto o di piano o accompagnatrici musicali presso istituti, educandati, orfanotrofi o asili d’infanzia.

Nel 1926 l’Istituto dei Ciechi venne dichiarato istituto scolastico e posto alle dipendenze del Ministero della pubblica istruzione. Nel 1933 le scuole elementari vennero parificate. Nel 1939 sorse la Scuola di avviamento professionale per ciechi che veniva ad assorbire i laboratori di vimini, falegnameria e maglificio.

I danni di bombardamenti dell'agosto 1943 Con lo scoppio della seconda guerra mondiale l’Istituto venne evacuato nell’Istituto dei Padri Passionisti a Caravate nel Varesotto, occupato nel 1945-1946 dal comando alleato e finalmente restituito alle sue funzioni nel 1946.

L’Ente cercò sempre di realizzare e mantenere tutti i rami diversi della sua attività basandosi sul proprio patrimonio, costituito per la maggior parte dai generosi lasciti di una folta e generosa schiera di benefattori. Per avere un quadro sintetico della gestione amministrativa dell’Istituto, è possibile ricorrere ad un prospetto pubblicato nella monografia del 1930, relativo ai “Conti economici degli anni 1848-1929”; da tale prospetto si evince come le voci fondamentali delle entrate furono sempre le rendite dei fondi pubblici, le rette dei ricoverati e in misura più ridotta i fitti dei fabbricati; per quanto concerneva le uscite, le voci più cospicue erano rappresentate dai costi del vitto, seguiti dalle spese per stipendi al convitto, illuminazione e combustibili, vestiario e mobiliare.

Alla guida dell'Istituto, un ruolo fondamentale lo ebbero i sacerdoti che furono direttori dell’Istituto e che confermano l’importanza avuta dal clero conciliatorista e rosminiano nella gestione di importanti istituti a carattere rieducativo nel panorama milanese. Non a caso furono questi stessi direttori, e in particolare Luigi Vitali e Pietro Stoppani, a lasciare i più importanti scritti programmatici e le più acute riflessioni critiche sulle scelte educative dei non vedenti.

Le celebrazioni degli anniversari

In questo senso, importanti momenti per l’analisi delle attività in corso, nonché per la programmazione degli sviluppi successivi e per la diffusione e conoscenza dell’impegno dell’Istituto presso un pubblico più vasto, furono certamente gli anniversari della fondazione, un appuntamento durante il quale ripercorrere la storia secolare dell’Istituto, come “storia di pionieri, di educatori, di benefattori e pure di primati e di priorità”. E i dirigenti dell’ente non perdevano l’occasione per esporre nel modo migliore il lavoro degli allievi e degli insegnanti, i prodotti, le attività e la sede: “La maestosa, quasi monumentale sede di via Vivaio si sta da mesi facendo ancora più bella per la celebrazione di tanta ricorrenza, a cui parteciperanno autorità italiane e straniere che per molti anni considerarono questo istituto quasi insuperato per l’eccellenza del suo funzionamento e la meraviglia dei risultati educativi e curativi”.

La visita di Vittorio Emanuele III in occasione del novantesimo anno di fondazione dell'Istituto dei Ciechi. 15 aprile 1931In particolare il centenario (1940) venne celebrato con l’esposizione e la visita da parte delle massime autorità cittadine della quadreria dell’Istituto, che accoglieva i ritratti dei maggiori benefattori dell’ente, seguendo i prestigiosi esempi della tradizione ambrosiana rappresentati dall’Ospedale Maggiore e dalla Congregazione delle opere di carità. L’esposizione della quadreria, che nel suo insieme ripercorreva cento anni di storia sociale e di costume, aveva anch’essa una funzione divulgativa degli scopi e dell’attività dell’Istituto, alla quale i giornali facevano ovviamente da cassa di risonanza. Nel visitare la quadreria, ma soprattutto nel penetrare la vita intima degli allievi, pur a cento anni dalla fondazione dell’Istituto, si rinnovava nei commentatori lo stupore derivato dal conoscere dall’interno la realtà dell’ente: naturalmente anche la stampa interna all’Istituto costituita dai bollettini orgogliosamente ricordava l’opera dell’Istituto, che “in un secolo aveva saputo dare a 1500 ciechi della nostra terra lombarda, nella educazione al lavoro, il più grande conforto terreno”; e tale opera era confermata dai successi individuali degli allievi, sia letterari che sportivi.

di Enrica Panzeri - Archivista

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